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JUBILATE DEO OMNIS TERRA

malati

 

Maria cantando il Magnificat dice:“Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome”,esprimendo così la sua gioia e il suo ringraziamento aDio Padre per i grandi doni che ha operato nella sua vita chiamandola a diventare la madre del Salvatore.
Quest’anno, nella nostra vita di tutti i giorni e andando in pellegrinaggio a Lourdes, siamo anche noi invitati a riscoprire questo atteggiamento di lode verso il Signore per tutto il bene che opera in noi.


Infatti il tema conduttore scelto per questo anno pastorale a Lourdes è proprio ripreso dalle parole della Madonna nel suo inno di lode in casa della cugina Anna e riportatedal Vangelo secondo Luca (1,49): “Stupore per quanto Dio compie. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente”. Ed è lo stesso titolo che il Santo Padre Francesco ha scelto per la XXV Giornata Mondiale del Malato
che sarà celebrata in forma straordinaria proprio a Lourdes l’11 febbraio 2017.


La Giornata Mondiale del Malato nacque, appunto, nel1992 dall’intuizione dell’allora Papa (oggi Santo) Giovanni
Paolo II. E proprio sull’argomento della sofferenza (che è sempre una esperienza che “stupisce” nel bene e nel male),del modo in cui essa viene accolta e affrontata anche alla luce del messaggio di speranza della Gran Madre di Dio rivoltoci a Lourdes, che vogliamo riflettere ora con voi,cari Amici, aiutati dall’insegnamento – sempre sostenutodalla Parola di Dio - dell’attuale Pontefice, il Papa Francesco.“Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,19).

L’apostolo Paolo usa parole
molto forti per esprimere il mistero della vita cristiana:tutto si riassume nel dinamismo pasquale di morte e risurrezione, ricevuto nel Battesimo. Infatti, con l’immersione nell’acqua ognuno è come se fosse morto e sepoltocon Cristo (cfr Rm 6,3-4), mentre, quando riemerge da essa, manifesta la vita nuova nello Spirito Santo. Questa condizione di rinascita coinvolge l’intera esistenza, in
ogni suo aspetto: anche la malattia, la sofferenza e la morte sono inserite in Cristo, e trovano in Lui il loro senso ultimo.


In realtà, tutti prima o poi siamo chiamati a confrontarci, talvolta a scontrarci, con le fragilità e le malattie nostre e altrui. E quanti volti diversi assumono queste esperienze così tipicamente e drammaticamente umane! In ogni caso, esse pongono in maniera più acuta e pressante l’interrogativo sul senso dell’esistenza. Nel nostro animo può subentrare anche un atteggiamento cinico, come se tutto si potesse risolvere subendo o contando solo sulle proprie forze. Altre volte, all’opposto, si ripone tutta la fiducia nelle scoperte della scienza, pensando che certamente in qualche parte del mondo esiste una medicina in grado di guarire la malattia.


Purtroppo non è così, e anche se quella medicina ci fosse, sarebbe accessibile a pochissime persone. La natura umana, ferita dal peccato, porta inscritta in sé la realtà del limite. Conosciamo l’obiezione che, soprattutto in questi tempi, viene mossa davanti a un’esistenza segnata da forti limitazioni fisiche. Si ritiene che una persona malata o disabile non possa essere felice, perché
incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento. Nell’epoca in cui una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e dunque affare economico, ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante.

Meglio tenere queste persone separate, in qualche “recinto” – magari dorato – o nelle “riserve” del pietismo e dell’assistenzialismo,
perché non intralcino il ritmo del falso benessere. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi. Ma, in realtà, quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità!

Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite. Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente “perfette”, per non dire “truccate”, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto.

Come sono vere le parole dell’apostolo: “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti” (1 Cor 1,27).
Il Vangelo ci mostra a più riprese il Signore Gesù che incontra i malati, li accoglie, e va anche volentieri a trovarli. Lui sempre si accorge di loro, li guarda come una madre guarda il figlio che non sta bene, e sente muoversi dentro di sé la compassione. La sua tenerezza è segno dell’amore che Dio, il Padre buono e misericordioso riserva per coloro che soffrono e sono esclusi.

Non esiste solo la sofferenza fisica. Oggi, una delle patologie più frequenti è anche quella che tocca lo spirito. E’ una sofferenza che coinvolge l’animo e lo rende triste perché privo di amore. La patologia della tristezza.
Quando si fa esperienza della delusione o del tradimento nelle relazioni importanti, allora ci si scopre vulnerabili, deboli e senza difese. La tentazione di rinchiudersi in sé stessi si fa molto forte, e si rischia di perdere l’occasione della vita: amare nonostante tutto. Amare nonostante tutto!


La felicità che ognuno desidera, d’altronde, può esprimersi in tanti modi e può essere raggiunta solo se siamo capaci di amare. Questa è la strada. È sempre una questione di amore, non c’è un’altrastrada. La vera sfida è quella di chi ama di più. Quante persone disabili e sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate! E quanto amore può sgorgare da un cuore anche
solo per un sorriso. “La terapia del sorriso” la chiama Papa Francesco. Allora la fragilità stessa può diventare conforto e sostegno alla nostra solitudine. Gesù, nella sua passione, ci ha amato sino alla fine (cfr Gv 13,1); sulla croce ha rivelato l’Amore che si dona senza limiti.

Che cosa potremmo rimproverare a Dio per le nostre infermità e sofferenze che non sia già impresso sul volto del suo Figlio crocifisso? Al suo dolore fisico si aggiungono la derisione, l’emarginazione e il compatimento, mentre Egli risponde con la misericordia che tutti accoglie e tutti perdona: “per le sue piaghe siamo stati guariti” (Is 53,5; 1 Pt 2,24). Gesù è il medico che guarisce con la medicina dell’amore, perché fa sua la sofferenza che è anche la nostra e la redime. Noi sappiamo che Dio sa
comprendere le nostre infermità, perché Lui stesso le ha provate in prima persona (cfr Eb 4,15).

 

Il modo in cui viviamo la malattia e la disabilità è indice dell’amore che siamo disposti a offrire. Il modo in cui affrontiamo la sofferenza e il limite è criterio della nostra libertà di dare senso alle esperienze della vita, anche quando ci appaiono assurde e non meritate. Non lasciamoci turbare, pertanto, da queste tribolazioni (cfr 1 Ts 3,3).

Sappiamo che nella debolezza possiamo diventare forti (cfr 2 Cor 12,10), e ricevere la grazia di completare ciò
che manca in noi delle sofferenze di Cristo, a favore della Chiesa suo corpo (cfr Col 1,24); un corpo che, ad immagine di quello del Signore risorto, conserva le piaghe, segno della dura lotta, ma sono piaghe trasfigurate per
sempre dall’amore.

L’Immacolata che appare nella Grotta di Massabielle, inondandola di luce, suggerisce a ciascuno di noi lo sguardo con il quale leggere la nostra storia, compresele situazioni di dolore e di sofferenza. Non c’è buio, non c’è dolore, non c’è fatica, e neanche peccato che nell’incontro con il Signore non sia illuminato e reso nuovo dal Suo Amore.

La “piccola” Bernadette che accoglie le parole di Maria e le vive, diventa per noi un esempio, uno stile di vita: nulla la separerà più dall’Amore di Dio! Disponiamoci anche noi a vivere questa esperienza bella e feconda: il silenzio e la preghiera, l’impegno e anche
la fatica quotidiani nelle nostre case, sul posto di lavoro, a scuola, in famiglia accanto ai nostri cari, saranno i luoghi nei quali incontrare, con l’aiuto di Maria, il volto amico del Signore che ci dona serenità e pace.
Eleviamo con Maria la nostra preghiera: il Signore per me ha fatto meraviglie!


Marco e Federico, diaconi

 

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